sabato 25 novembre 2023

IL LINGUAGGIO DA USARE QUANDO PARLIAMO DI DISABILITA', L'IMPORTANZA DELLE PAROLE GIUSTE

Sisbaglia quando si considerano persone "speciali", sono semplicemente persone

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Per decenni è stato perpetrato un uso scorretto di numerosi termini che si riferiscono alle persone con disabilità, quali “diversamente abile”, “inabile”, “handicappato”, “portatore di handicap”, “ritardato”, “invalido” La maggior parte di questi termini è adesso considerata quantomeno scorretta, la battaglia per la riconsiderazione di questi termini non è ancor a finita.

Un errore che commettono ancora oggi in molti è evidenziare la disabilità invece che parlare della persona. Pertanto è sbagliato etichettare le persone dicendo “un disabile/un sordo/un cieco”. Le persone devono essere chiamate col proprio nome. Se proprio c’è bisogno di indicare la disabilità si può dire: “una persona con disabilità”, “persona con disabilità intellettiva”, “persona con sindrome di Down” o “una persona cieca/sorda”.

 La disabilità è una caratteristica della persona. Definire i disabili “speciali” non è corretto, sono persone in cui si annida personalità,  tra loro ci sono persone buone e persone cattive, simpatiche o antipatiche. È solo una forma di pietismo e di compassione, che finisce inevitabilmente per discriminare chi vuole soltanto essere trattato in modo spontaneo e naturale. Non dobbiamo mai modificare il nostro linguaggio per cercare di compiacere una persona disabile. Dire “ci vediamo dopo” a un cieco va benissimo, dire “me lo dici dopo” a una persona che usa la lingua dei segni anche, perché si tratta di espressioni che fanno parte della nostra lingua. Proporre di “andare a fare una passeggiata” a una persona in carrozzina è perfettamente accettabile. Bisogna, d’altra parte, chiamare le cose col proprio nome e non cercare di essere a tutti i costi politicamente corretti. Non ha nessun senso tentare di addolcire parole come “cieco, sordo” con “non vedente, non udente” oppure disabile con “diversamente abile” o “diversabile”.

Si può parlare di disabilità in modo spontaneo e corretto, in una maniera che è allo stesso tempo giusta e rispettosa di tutti. La disabilità non è una malattia, pertanto devono essere bandite tutte le parole che rimandano a un’idea di  dolore, limitazione o impedimento, incapacità e sofferenza. Per lo stesso motivo bisogna evitare un linguaggio compassionevole.

Non si deve dire “costretto sulla carrozzina” ma “persona che si sposta in carrozzina”. Se ci pensiamo, la stessa espressione “confinato su una carrozzina” che sentiamo spesso, non è corretta, infatti la carrozzina dà la possibilità alla persona con disabilità di muoversi. Pertanto, la persona non è confinata sulla carrozzina, ma anzi, grazie a essa è in grado di spostarsi. Non basta, non è sufficiente perché ci sono azioni della vita quotidiana che necessitano di aiuto, come lavarsi, vestirsi spostarsi per momenti ludici o lunghi tragitti, come andare al teatro, cinema, stadio oppure visite specialistiche ecc.

 

 

 

 

 

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